Una delle cause che spiegano in parte i meccanismi di violenza sulle donne è rappresentata da un grave deficit di comunicazione fra i due sessi. Lo spiega bene Deborah Tannen, sociolinguista americana in questo saggio “Ma perchè non mi capisci?” (Sperling & Kupfer, 2004).
Uomini e donne sono diversi, ma sembra che di questo semplice principio non ci si sia ancora resi conto abbastanza.
Fin da piccoli, infatti, femmine e maschi sviluppano due approcci mentali al linguaggio e al suo utilizzo così differenti da rendere difficoltosa la comprensione reciproca.
Rendersi conto dell’esistenza di queste diverse modalità di comunicare eviterebbe giudizi affrettati, rimproveri e incomprensioni che, a volte, si trasformano nell’anticamera della fine di un rapporto sentimentale, oppure, come sappiamo, in atti di violenza vera e propria.
Valorizzare lo sforzo che l’altro sta facendo per essere solidale con noi renderebbe la comunicazione sicuramente più efficace e si trasformerebbe in uno strumento utile, oltre che per risolvere il problema in sé, anche per rafforzare il rapporto di coppia.
Di certo c’è la necessità di rielaborare un mezzo – la comunicazione – che è un importante veicolo di intesa e di legame tra le persone e soprattutto con le persone dell’altro sesso.
E’ riduttivo presupporre che non esistano differenze negli stili di comunicazione. Queste differenze esistono, eccome! E nelle relazioni tra uomini e donne è anche necessario identificarle e capirle. E’ l’unica strada per trovare insieme soluzioni a situazioni che possono diventare irreversibili, come spesso la cronaca ci racconta.
Quando uomini e donne parlano tra di loro, ciascuno si attende una risposta precisa: la conferma delle proprie sensazioni. Quando la risposta non è conforme alle aspettative personali, diventa un ostacolo. Subentra la rabbia, l’imbarazzo e, peggio ancora, la disapprovazione.
Ovvero l’anticamera di comportamenti che spesso sfociano in aggressione fisica vera e propria.
La soluzione – che al momento sembra assai poco conosciuta e praticata – sarebbe l’accettazione dell’altro, in quanto altro, la necessità di adattarsi a un diverso stile di comunicazione o comportamento, la condanna del biasimo reciproco, il rinfacciarsi cose dette o fatte milioni di anni prima, gli sfoghi tenuti dentro per anni che d’improvviso fuoriescono come una lava incandescente.
E la situazione precipita come d’improvviso, prendendo strade imprevedibili.
La disputa orale maschera quindi differenze profonde tra i vari punti di vista. E’ utile, ma non è la sola via per arrivare ai risultati sperati in modo diverso.
Qual è allora il sistema comunicativo migliore?
La ricerca e la risposta sono sempre personali, così come lo è la relazionalità e il rischio. Non è sbagliato, comunque, presupporre una certa motivazione reale alla flessibilità del proprio stile abituale di comunicazione. Inoltre, il potere della parola può suscitare comunanza e contesa, modi diversi di conflitto e di negoziazione ed è quantomai importante per capire il metalinguaggio dei diversi stili di conversazione.
Facciamo lo sforzo di “metterci nei panni dell’altro”: non servirà necessariamente per salvare un rapporto sentimentale arrivato al capolinea, ma servirà probabilmente per farsene una ragione, per dire a quella parte malata di noi stessi che l’amore è eterno soltanto finchè dura, e che una storia finita non è necessariamente una tragedia.
Ricominciare. Ecco a cosa dovremmo iniziare ad abituarci. Ma per qualcuno l’amore è eterno anche quando è finito.
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