Doveva essere un’altra la locandina originaria prima che ci mettesse le mani un professionista della comunicazione e la trasformasse in quell’altra (bellissima) che poi abbiamo diffuso. Ma c’è qualcosa che va oltre un’immagine su un file.
C’è una materia preziosa che ci portiamo dentro e che cambia, di continuo, il modo stesso in cui siamo fatti, e sono i ricordi.
I ricordi sono quella cosa che agisce all’interno di noi, a volte li definiamo con il termine “esperienza”, altre con il termine “sofferenza”, a volte i due termini coincidono. Questo è sicuramente uno di quei casi. Ci è andata bene perchè possiamo tornare ad affondare le mani nella carne viva della memoria accantonata da qualche parte, riprenderla e riportarla a galla e miscelarla con i ricordi di altri, fino a farne condivisione. Nasce così l’esigenza di parlarne in una maniera, per così dire, diffusa. Pubblica.
E’ un tema duro per tutti, lo sappiamo, e di questi tempi sono pochi quelli che sentono la voglia di condividere una pagina del proprio passato che hanno, invano, cercato di accantonare. Ogni volta che la terra riprende a fare movimenti strani, riaffiora quella antica paura mai sopita, e la domanda che poi inevitabilmente si fanno quelli che hanno vissuto quella esperienza è: “l’hai sentita anche tu?”. Sentire la terra, avvertirne la momentanea – e a volte tremenda – isteria. Non è una cosa bella da dire, figuriamoci da vivere.
Quindi lo capiamo che il tema scelto non è facile, perchè va a scavare nel profondo di una giornata sbagliata che tutti abbiamo a fatica messo da parte, peraltro non riuscendoci mai completamente.
Ma che cosa è il dolore se non abbiamo il coraggio di guardarlo in faccia, se non abbiamo la forza di ritornare a sconfiggerlo, di esorcizzarlo, ora che è passato del tempo e siamo in grado – o dovremmo esserlo – di buttarlo via, come dice una canzone?
“Ho conosciuto il dolore e l’ho preso a colpi di canzoni e parole per farlo tremare, per farlo impallidire, per farlo tornare all’angolo, cosi pieno di botte, cosi massacrato stordito imballato, cosi sputtanato che al segnale del gong saltò fuori dal ring e non si fece mai più vedere” (Roberto Vecchioni).
Anche noi lo abbiamo conosciuto, perlomeno quelli che lo hanno visto e sentito da vicino, ed è per questo che vogliamo prenderlo a colpi di canzoni e parole, stordirlo e buttarlo fuori dal ring. E provare a trasmettere questo coraggio a chi non c’era, a chi non lo ha conosciuto, ma magari ne ha conosciuti altri, di dolori, e non ha ancora capito come scacciarli via, e forse da questa cosa può trarre qualche insegnamento su come si può fare.
Un abbraccio collettivo. E’ questo quello che ci serve. Un abbraccio che dura un’ora e un quarto o poco più.
E alla fine, ne usciremo tutti un po’ più consapevoli, un po’ più forti. Rivivere e condividere certe memorie può far bene.
Ci vediamo lì.
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