Si divertì molto nell’unica sua esperienza sanremese. Era il 1979 ed invitarono anche lui sul palco del più prestigioso teatro italiano della canzone, l’Ariston. Si presentò con una canzone dal nome di donna, e fin qui nulla di strano: la musica italiana era piena di canzoni di questo tipo.
Ma fin dalle prime note tutti capirono che non era affatto una canzone “come le altre”. Arrivò sul palco esibendo quel suo baffetto irriverente come la sua musica e, in quegli anni di perfetto allineamento, poco inclini alle sperimentazioni, l’orchestra che lo accompagnava sparò nel teatro una serie di arrangiamenti che ai più apparvero rivoluzionari, quasi imbarazzanti. La canzone si intitola Barbara ed inizia con dei fiati e un ritmo più tipici del funky d’oltreoceano che ad una sentimentale musica sanremese. E poi i testi di quel mago di Panella, che ne aveva scritti tanti anche per il mostro sacro Battisti, sparigliarono completamente le carte di una scena fin troppo abituata al “fiore” che fa rima con “cuore” o con “amore”.
Non a caso lo stesso Battisti, che non era esattamente uno facile ai complimenti, disse di Carella che gli sembrava una delle novità più importanti della musica italiana del periodo.
In quell’edizione del Festival li guardava tutti con la sua aria divertita, gli altri che si prendevano sul serio, troppo sul serio. Tutti speranzosi di giocarsi un buon piazzamento, qualcuno che cullava persino il desiderio di vincerlo, il Festival, un pensiero che a lui non lo sfiorò nemmeno da lontano. Era troppo divertito già del fatto di essere arrivato fin lì e che la sua Barbara, con tutto quel popò di arrangiamenti pazzeschi e quelle parole che ti di dovevi mettere d’impegno prima di capirci veramente qualcosa, si era fatta conoscere dal grande pubblico.
Tentami, Toccami con l’alito, fammi un caldo in più, dolce tu per tu
Rubami, con le treccie allacciami, c’è più smania in noi, che dall’onda in poi
Tienimi, tra le mani e l’anima, fammi un male tenero, fantasiosa e Barbara.
Vinse quella edizione uno di cui non avremmo mai più sentito parlare, tale Mino Vergnaghi, il che la dice lunga sulle capacità di lanciare talenti veri da parte del Festival. Carella, con la sua Barbara, si piazzò al secondo posto: un risultato che andò molto oltre quello che si aspettava. L’Italia aveva riconosciuto a quel genio ribelle della musica un tributo che per molti non era affatto di facile comprensione né interpretazione, ma piaceva a molti, anche se in quel momento ancora non ne afferravano il vero motivo.
Fin dall’inizio aveva scelto la strada della non omologazione. Una delle sue prime canzoni, Malamore, del 1977 (aveva allora 25 anni ed aveva iniziato da qualche anno la sua collaborazione con il paroliere Panella), aveva rivelato esplicitamente quale fosse il talento del musicista romano. Si trattava di un altro pezzo praticamente folle nei testi e negli arrangiamenti per quel periodo, che non vinse nulla ma fece capire che probabilmente anche qui in Italia c’era un altro modo di fare musica, un modo che anticipava il passaggio alla fase post-cantautorale che sarebbe arrivata con gli anni Ottanta.
Dì che mi amerai di colpo corruzione, soffiando il cuore infiammandomi il polmone
Un segno sulla coscia la tua bocca migliore, e il cuore che divori come un pugno di more
Dì che bene mi amerai di Malamore, sì, di Malamore.
Dì che mi amerai di febbre o consunzione, prendi alla fronte il cervello fra il pallone
Un bacio nella gola la tua bocca migliore, e l’asma che mi cola come piombo sul cuore (MALAMORE) .
E tre giorni giorni fa, all’età di 65 anni, ha lasciato questo mondo per arresto cardiaco, dopo un lungo ricovero in terapia intensiva. Come le sue canzoni, anche la sua vita non è mai stata rose e fiori: in epoche recenti (2011) è stato arrestato per traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti. Ma il piccolo tesoretto di album che ci lascia è una miniera in larga parte ancora da scoprire. Alcuni di noi lo ricorderanno per quel baffetto scanzonato e una musica che forse sarebbe d’avanguardia ancora oggi.
Tu sei quella che partì di miele e amara tornò
son fedele a questo dolce fiele
amara t’amerò (AMARA)
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