Caro Ruggero, è chiaro che un colossal rock di queste proporzioni convince.
La storia musicale che ti porti dietro convincerebbe chiunque, figurati noi altri ultra cinquantenni, che ti seguiamo da quando eravamo ancora in fasce e le puntine Sennheiser già ballavano con Interstellar Overdrive e Arnold Layne.
Convinci perfino le generazioni dei ventenni di oggi che di Syd non sanno una beata cippa, eppure cantano con il dito alzato Comfortably numb e si commuovono con Hey You.
Sappiamo tutto di te, delle tue paranoie, di quella stramaledettissima seconda guerra mondiale che ti ha fatto male ma, non contento di aver realizzato The Wall, hai convinto anche gli altri membri della band a farne anche un seguito che si intitolava The Final Cut e che naturalmente non ebbe neppure lontanamente lo stesso successo.
Sarà stato che l’idea di privarti di quel sant’uomo di Richard Wright alle tastiere (solo perché non voleva anticipare il suo rientro dalle vacanze), ti ha tolto un po’ di ambientazione pinkfloidiana, o semplicemente volevi riaffermare una leadership mai in discussione?
Adesso che ho visto il tuo ennesimo The Wall, te lo posso confessare: c’ero fin dalla prima mondiale del film a Londra nel 1980. Ero lì in vacanza con il mio amico Attilio, e quel pomeriggio a Soho appena vedemmo il manifesto del film non ci perdemmo un attimo a decidere che in quella sala dovevamo esserci anche noi. La musica la conoscevamo già (il disco era uscito un anno prima), ma le immagini che scorrevano in quella sala londinese, quei suoni incredibili e soprattutto uno splendido Bob Geldof nel ruolo che hai dimensionato a tua immagine e somiglianza, credo che resteranno nella mia mente per sempre.
Poi ho visto (questa volta per televisione) lo spettacolo da solista di The Wall che hai portato in giro per l’Europa partendo dalla caduta del Muro di Berlino nel 1990. Ottima operazione di marketing!
Lì, oltre al muro, avevi già smantellato la band, ma quel concerto si avvalse di ospiti veramente incredibili, quali Bryan Adams, The Band, Cyndi Lauper, Joni Mitchell, Van Morrison, Sinead O’Connor, gli Scorpions e altri. Dicono che quella sera ci fossero oltre 400 mila spettatori: non so quanti concerti hanno avuto un riscontro simile.
Ma non ti è bastato: arriva il 2015 (ovvero 36 anni dopo l’uscita dell’album) e ti ripresenti nuovamente con un film sempre con lo stesso nome, lo stesso concerto, la stessa musica, solo che ci aggiungi stavolta un elemento di novità: il viaggio in macchina dall’Inghilterra fino a Montecassino dove riposa la salma di tuo padre.
Ora mi chiedo: dopo che con la band hai fatto cose che qualunque umano sulla terra (tranne veramente 3 o 4 gruppi leggendari) non si sogna nemmeno, alcuni di noi che ti hanno seguito fin da quando manovravi maldestramente un ascia prima di colpire e far urlare di dolore il povero Eugene, possiamo avanzare il sentitissimo dubbio che la tua vena creativa si è un attimo incartapecorita – un po’ come sta capitando alla tua voce?
Il mio dispiacere, alla fine, è uno soltanto. No, non è quello che una delle rock band più leggendarie si è sciolta per dissapori interni, perché questo ci può anche stare. È successo ad altri ed è normale che potesse capitare anche a voi.
Il vero dispiacere è che, con tutto il bendidio che hai creato, da capolavori che vanno da Atom Heart Mother, fino a Meddle e The Dark side of the Moon (e no, non sto dimenticando affatto Wish You Were here), tu debba essere ricordato essenzialmente come uno psicopatico afflitto dalla perdita di un genitore al punto da non essere capace di risolvere questo problema affidandoti alla vena di un’arte creativa che pochi al mondo hanno avuto la fortuna di poter regalare.
Certo che li convinci, tutti gli altri. E come potrebbe essere diversamente vista la caratura francamente impressionante che questo film-opera rock presenta al pubblico come mai nessuno prima è riuscito ad allestire?
Ma vedi, a quelli che ricordano che i Pink Floyd hanno fatto da colonna sonora a More di Barbet Schroeder e a Zabriskie Point di Antonioni, a quelli che ricordano le tue movenze sul gong a Pompei dopo che per la prima volta un gruppo rock aveva avuto il permesso di suonare nel più grande sito archeologico mondiale, a me questo lifting di The Wall – esteticamente e spettacolarmente meravigliosa – da un punto di vista di contenuti, convince un po’ meno.
E adesso non te la prendere: nonostante il tuo caratteraccio, il tuo essere accentratore e anche un po’ capriccioso, questa sera vedendo il film le ho cantate anch’io Hey You e Comfortably numb. Ma non a squarciagola perché a cinema non si può.
Se torni a Montecassino non fare come al tuo solito: lascia perdere la tromba e fatti sentire, che prendiamo un caffè.
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