Lo ammonirono tra un tempo e l’altro, a gioco fermo. Il capitano di quella squadra pazzesca si chiamava Johann Cruijff che quando lo scrivi, le i e le j non bastano mai, le ha finite anche la tastiera. L’arbitro era un signore inglese di mezza età, perché una volta gli arbitri non erano giovani e tutto muscoli come quelli di ora, erano più grandi dei giocatori e ispiravano fiducia, una via di mezzo tra fratelli maggiori e zii.
E alla fine del primo tempo di quella finale il destino aveva già stabilito che la partita sarebbe finita così, e siccome Crujiff lo sapeva che non sarebbe cambiata perché lui ce l’aveva uno strano feeling con il destino, a fine primo tempo si fece una passeggiata non troppo amichevole con l’arbitro fino a dentro gli spogliatoi e gliene disse quattro. E così quel signore inglese dovette tirare fuori il cartellino giallo e ammonirlo mentre andavano all’intervallo. Una situazione anomala, come molte cose di quella finale.
Del resto il signor Taylor di professione faceva il macellaio, come da tradizione di famiglia (e allora non si capisce perché il suo cognome non fosse stato Butler, anziché uno la cui traduzione vuol dire: sarto) si era già reso protagonista di un episodio insolito, sempre a gioco fermo, quando decise che la partita sarebbe iniziata più tardi rispetto all’orario previsto perché mancavano le quattro bandierine dei calci d’angolo. Nella nazione tra le più efficienti al mondo succede anche questo: che tolgono le bandierine e si dimenticano di metterle a posto. Non ci si può credere. Ora, non so se lo capisci, ma iniziare in ritardo la finale del campionato del mondo genera un po’ d’ansia in tutti. E quando dico tutti voglio dire tutti. In primis ai giocatori in campo, che poi l’Olanda era la prima volta nella sua storia che giocava una finale. Poi il pubblico sugli spalti dell’Olympiastadion di Monaco di Baviera. Una volta, in vacanza, ci andai apposta all’Olympiastadion solo per vedere com’era il terreno sul quale avevano poggiato i tacchetti quei marziani con le magliette arancioni. E poi quel ritardo avrebbe creato problemi anche alle televisioni collegate da tutto il mondo, che avevano i loro palinsesti regolati al millimetro e quel ritardo dovette presumibilmente cambiare i programmi di molti di essi. Ad ogni modo, pronti via, battono i marziani, tengono palla, fanno 16 passaggi in 50 secondi, poi sempre lui, il capitano dei marziani, con tutte le i e le j incluse, entra in area, subisce fallo da un mastino chiamato Vogs (ma che ovviamente si pronuncia Focs, nel modo più ruvido che si può): rigore.
Si presenta sul dischetto uno di quelli con il cognome che non ti dimenticherai più: Neeskens.
Uno che se lo guardi bene in faccia somiglia a Joe Cocker da giovane. Tiro forte, centrale, quella spugna di Sepp Mayer si butta da una parte, la palla è in mezzo: gol. La partita non è ancora iniziata e siamo già 1-0 per i marziani sul campo dei crucchi. Silenzio sugli spalti, i pochi olandesi presenti nemmeno li senti in quel tempio assurdo del calcio.
Sono parecchi i giocatori le cui facce somigliano a dei divi. Beckembauer, ad esempio, regista arretrato e allenatore in campo, faccia da angelo e piedi da dio, specialmente il destro. Poi un’altra faccia da rocker ce l’ha l’autore del pareggio, sempre su rigore, della Germania: Paul Breitner. Se non avesse fatto il calciatore c’è da giurare che avrebbe suonato la chitarra al Troubador di Los Angeles e forse avrebbe accompagnato come minimo Linda Rostandt o Grace Slick. Con quella faccia e quei baffi lì, sicuro.
E infine il diavolo che segna il 2-1 definitivo per la Germania: Gerd Muller. Sì, proprio quello che segnò il pareggio della Germania nella famosa semifinale di Città del Messico del 1970 finita 4-3 per noi. Se Muller non somiglia a a Jim Morrison devo scomparire adesso. E secondo me qualche canzone del Dio Lucertola l’ha cantata pure, sotto la doccia. “The End”, ad esempio. Mentre arrivava nel cuore dell’area una palla lenta, innocua, una palla senza alcuna pretesa di essere un cross, come avrà fatto ad arrivare prima degli atletici difensori olandesi e calciarla facendola passare in mezzo alle lunghissime leve di di Suurbier (un altro che non ti dimenticherai più) e trafiggendo Jongbloed che non ci poteva proprio arrivare?
Che cosa disse il divino Crujiff al macellaio inglese mentre tornavano negli spogliatoi a fine primo tempo per meritarsi quell’ammonizione non lo sa nessuno, sta di fatto che l’Olanda perse la sua seconda finale mondiale anche quattro anni dopo allo stadio Monumental di Buenos Aires, ai tempi supplementari contro l’Argentina, padrona di casa.
Eppure è la sola squadra che, pur perdendo due finali consecutive di coppa del mondo, è rimasta nel cuore degli appassionati di tutto il mondo. Forse è per questa ragione che, dopo 44 anni, c’è ancora qualcuno che ne parla.
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