Antonio Infantino è considerato uno dei padri della musica popolare italiana, ed è anche uno dei pochissimi artisti considerati fuori dai confini nazionali come qualcuno che la musica l’ha cambiata davvero. In verità anche per l’intellighenzia musicale nostrana è collocato in un olimpo dal quale nessuno potrà scalzarlo più, specie adesso che non è più di questa terra.
Infantino, noto al grande pubblico per essere il fondatore dei Tarantolati e per essere l’ispiratore di una musica popolare e tradizionale che parte dalla taranta e finisce al jazz, è in verità molto di più di un musicista. Se ne sono per fortuna accorti in molti di queste sue qualità, anzi gli hanno pure fatto un film, dal titolo immeritato (perchè in inglese, “A fabolous trickster” – Un imbroglione favoloso) di Luigi Cinque e poi anche La Repubblica gli ha dedicato un corto, curato tra gli altri anche da (nientepopodimeno che) Fernanda Pivano, una che di musica e musicanti se ne intende eccome che anzi rincara dicendo che Infantino è uno dei personaggi più interessanti degli ultimi cinquant’anni. C’è bisogno di avere ulteriori riconoscimenti? Ne vuoi un altro? Ernesto Assante, un altro che di musica ne capisce, mette il tarantolato lucano subito dopo (tieniti forte) nientepopodimenoche Frank ZAPPA tra i musicisti che hanno rivoluzionato di più la scena musica internazionale. Basta questo?
Infantino era un esploratore del mondo della cultura a trecentossessanta gradi, della filosofia all’architettura persino della magìa e dei riti popolari. Chi lo ha incontrato almeno una volta non è potuto rimanere indifferente al mix di informazioni di cui dispone, cose che non sono mera erudizione ma che Antonio ha sempre collocato lungo un unico asse che fa di un musicista un eclettico del linguaggio e di tutto ciò che è connesso alla vera essenza dell’uomo.
E proprio la considerazione che si sente in queste ore che seguono al suo viaggio in altra dimensione riapre un dibattito che aumenta il dispiacere che una perdita simile comporta: “si poteva fare di più per la sua arte“.
E perchè allora non è stato fatto? Perchè non riusciamo a capire quali sono i veri talenti di questa terra e quando poi non ci sono più c’è sempre qualcuno che dice: potevamo fare di più?
Non era difficile capire che Infantino fosse un talento indiscusso e indiscutibile di statura internazionale, che avrebbe potuto governare e gestire interi processi culturali, dato che è lucano vero e ben volentieri si sarebbe messo a disposizione di un progetto dove lui, sciamano e profeta di tendenze antiche da portare in un futuro ancora da scrivere, avrebbe dato il suo meglio, con la sua infinita cultura, la sua inesauribile energia e la grande capacità di miscelare il passato e il futuro in tanti piccoli germogli da piantare in una terra sempre troppo avara di riconoscimenti per i suoi figli.
Come non pensare, ad esempio, ad un suo coinvolgimento per l’imminente candidatura di Matera al traguardo culturale più importante al quale una città possa ambire ? E chi meglio di Infantino avrebbe potuto svolgere un ruolo chiave di ambasciatore della sua e della nostra regione?
Uno dei pochi che se n’è ricordato, pochissimo tempo fa, è Walter De Stradis, che gli ha dedicato una biografia, appena in tempo prima che ci salutasse per sempre.
Sarebbe stato bello se la sua arte (non solo la sua musica) fosse stata collocata nel posto che meritava anche nella sua terra, ma non è stato fatto, forse non è stato nemmeno pensato.
Già, ma chi doveva farlo?
22 thoughts on “Muore Infantino e dicono: meritava di più”
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