Cara umanità,
sono uno di voi, o almeno pensavo di essere uno di voi prima di guardarmi intorno, davanti, di fianco, indietro, e avere la sensazione di non riconoscere più nessuno.
I vostri visi non sono più quelli che conoscevo, i corpi anch’essi mi paiono mutati in assetti strani che non so decifrare, che la mia mente non è più in grado di decodificare.
Sì, certo avete maglioni e giacconi e pantaloni e scarpe come prima, ma – come posso dire – forse le vostre andature sono cambiate. Il vostro passo si è fatto più pesante, i vostri sguardi più duri, il vostro viso con sempre meno sorrisi, sempre meno parole, e quelle poche che usate sono pronunciate contro qualcuno, o qualcosa.
Lo capisco che stiamo passando attraverso una tempesta invisibile che può farci del male, procurare dolore, malattia.
E quando siamo in pericolo di vita, lo capisco che c’è una cosa sola che tendiamo a salvare, senza pensare più a chi è debole o indifeso: dobbiamo metterci in salvo noi, e basta.
Ma, proprio mentre vi guardavo, non riconoscendovi, mi chiedevo: dove sono andate a finire le mille teorie sull’umanesimo che abbiamo studiato e sulle quali abbiamo disquisito dai tempi delle scuole superiori fino all’università, e anche dopo?
Dove sono finiti tutti i nostri studi? I nostri decenni trascorsi a discutere della centralità del ruolo dell’uomo nell’universo?
La domanda non è chi siamo diventati. La domanda è cosa siamo diventati.
Ombre di noi stessi, annichiliti dalla paura, fantasmi immobili e galleggianti su oceani traboccanti di solitudine.
E questo non è successo oggi, ma viene fuori da un lungo periodo in cui ci siamo cibati di minestre riscaldate alla tv, di Grandi Fratelli e festival di Sanremo, in cui abbiamo evitato confronti e dibattiti e ci siamo chiusi in noi stessi, forti delle nostre verità da venditori ambulanti.
Ci rendiamo conto di quando è stato il momento in cui la nostra immagine ha preso il posto dei nostri pensieri?
Ce l’abbiamo una data esatta, un momento esatto da cui tutto questo è scaturito? No, ma non è necessario.
Fantasmi.
E dai Palazzi, d’altro canto, nessuna assunzione di responsabilità.
In fondo perché dovrebbero farlo quando è comodissimo attribuire tutte le colpe a chi?
Ma a noi, naturalmente, come sempre. O meglio a coloro tra noi che hanno voci deboli e muscoli stanchi. Forti con i deboli, sono tutti così quelli che stanno nei Palazzi.
Mai visto fare la voce grossa con i potenti.
E noi, quelli che possono capire, che possono opporsi, che possono mettere in campo la disobbedienza civile di Thoreau, che possono esercitare la libertà di pensiero e la possibilità di protestare, di essere il peso che inclina il piano, come diceva Bertrand Russell, cosa facciamo?
Un bel selfie.
E oggi che magari non ci sono più troppi luoghi dove andare per mostrare quanto siamo fighi, non li facciamo più tanti selfie, ma di dare una mano a quelli che non hanno più nemmeno la luce negli occhi, non ci pensiamo nemmeno.
Perché adesso tutto ciò che conta è salvarsi, evitare il contagio, stare al sicuro dietro la nostra mascherina certificata.
Fatto quello, siamo a posto.
Cara umanità, devi sapere una cosa, dal prossimo selfie che farai dal tuo cellulare all’ultimo grido, non uscirà nulla e sai perché?
Perchè i fantasmi non vengono nei selfie.
Firmato: un fantasma in carne e ossa.
27 thoughts on “Lettera all’umanità”
I commenti sono chiusi.