Donne che sanno ridere

Aveva nel sorriso una piega amara, come una noce dalla linea lievemente irregolare. Non era percettibile quando la guardavi, ti ci dovevi soffermare bene, perchè quella piega era nascosta sul labbro inferiore, nell’angolo lontano, come quando un rettilineo, d’improvviso, diventa curva.
Una curva che a volte, ogni tanto, come per una strana follia, diventa una risata.
Adoro le donne che sanno ridere.
Non quei sorrisetti da collegiali, ma quelle risate totali, solari e incontrollabili, fatte con la testa indietro e gli occhi chiusi e le convulsioni alle guance come se foste state colpite da una deflagrazione improvvisa di felicità casuale, e per qualche secondo quella risata vi prende dalla testa fino alla bocca dello stomaco e quando passa avete buttato indietro un secolo di amarezza, di rimpianti e di occasioni perse.
Per favore, ridete ancora in quel modo definitivo, quando vi capita, e poi vaffanculo a chi non vi ha capito.

 

 

INVENZIONE
Aveva un portamento che incantava, non era neppure bellezza – quella cosa con cui frettolosamente definiamo l’eleganza -, era anima che fuoriusciva dalle membra e diventava nuvola, erano passi leggeri su foglie di bosco, erano sguardi come lanterne di carta liberate nel cielo nelle sere d’estate. Però che diavolo di invenzione.
Quel mix assurdo, le rotondità, l’accoglienza, la respingenza, l’istinto e poi l’imbufalire e il respiro di seta.
Un rompicapo, la follia, l’energia, la simpatia, fragilità e dolcezza – ma non sempre-.
I contorsionismi, le domande innocenti e invece no, calcolate, le risposte incomprensibili: ma che avrà voluto dire?
La partita a scacchi, la delicatezza, la forza, resistere al dolore, sciogliersi in un tramonto, capire quasi tutto, arrivarci prima, mandare tutto a puttane, rifare da capo, impazzire, rinvenire ma poi ricominciare.  Che diavolo di invenzione sono le donne. Ma com’è che le hanno fatte così?