Il ’68 è stato un anno piuttosto strano per tutta l’umanità, non solo per la parte del mondo che conosciamo come Europa. Successero diverse cose anche oltreoceano, della quale una che ci interessa particolarmente per la storia presente, è che in quell’anno, tanto per cambiare, ci fu un tentato omicidio. Uno dei tanti che gli americani ogni tanto commettono per togliere di mezzo personalità scomode della politica, della moda, dello spettacolo. Gli americani hanno questo modo di fare piuttosto sbrigativo: uno non va bene al “sistema”? Nessun problema, lo facciamo fuori.
E così il 3 giugno del 68 qualcuno tentò di assassinare una delle figure più emblematiche del mondo dell’arte: Andy Warhol, che si trovava ad inaugurare una delle sue mostre, ed era in quel momento con il suo compagno. A tentare l’omicidio fu una donna, tale Valerie Solanas, che attuò il folle proposito nella convinzione che Warhol le rubasse il lavoro, dato che anche lei si occupava di arte. Il poliedrico artista newyorchese fu ferito in maniera assai grave, dovettero trasportarlo in ospedale ed operarlo d’urgenza, e sopravvisse a malapena. Da allora fece sempre meno apparizioni in pubblico.
Ma gli americani non erano soddisfatti: appena due giorni dopo il tentato omicidio di Warhol, qualcun altro fece un attentato che stavolta, purtroppo, andò a buon fine: dopo un comizio, all’interno dell’Ambassador Hotel di Los Angeles, il 5 giugno 1968 venne ucciso Bob Kennedy.
Per fortuna, però, molti americani hanno lasciato una traccia positiva ed indelebile nel mondo, Andy Warhol era uno di questi. Definirlo semplicemente pittore era riduttivo: le sue produzioni artistiche spaziavano dalla pittura alla scultura, al cinema, in cui ricoprì diversi ruoli: regista, sceneggiatore e perfino attore, ma anche montatore e produttore. Andy Warhol si può definire uno degli artisti più eclettici ed influenti del ventesimo secolo.
Era nato a Pittsurgh il 6 agosto 1928, e se oggi è così famoso nel mondo è fondamentalmente per una cosa alla fine anche piuttosto semplice nella sua genialità: la stampa serigrafica. Tutti lo conosciamo per le immagini dei visi di personaggi famosi che vengono ripetuti sullo stesso quadro. Solo che le sue opere sono poi diventate delle icone: avendo ritratto gente come Marylin Monroe, Che Guevara, la principessa Diana Spencer (sì, proprio lei, “Lady D”).
Dunque il suo metodo artistico era basato sul meccanismo della ripetizione: prendeva grosse tele e replicava un tot numero di volte la stessa immagine con colori forti e di grande impatto. Ma è inutile che mi dilungo, perché chiunque ha visto almeno un quadro del grande artista americano. Andy Warhol non ha lasciato un segno indelebile solo sulle tele: il suo genio fu prestato anche al mondo della musica, poichè elaborò decine di copertine di dischi e, manco a dirlo, come un Re Mida di tutto ciò che toccava, le ha fatte diventare delle icone. Dalla memorabile banana dei Velvet Underground per passare ai Rolling Stones, realizzò perfino la copertina del disco di una cantante italiana: Loredana Bertè. Alla fine realizzò una sessanta di copertine di dischi in vinile, che ovviamente sono andati a ruba da parte dei collezionisti di tutto il mondo.
Perché il termine Pop art? Pop sta ovviamente per popolare: lui usava affermare che l’arte era simile ad un prodotto da supermercato e doveva essere consumata come qualunque altro prodotto commerciale. Per lo spessore dell’artista, per tutto ciò che ha rappresentato per il mondo, e per come Warhol ha rivoluzionato il concetto stesso di arte, crediamo che Warhol sia davvero il genio della semplicità, come riassume questo suo aforisma: “Il problema con i classicisti è che quando guardano un albero non vedono altro e disegnano un albero”. Era uno così.
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