Siamo fatti così, viviamo di attese.
Aspettiamo i prossimi. Siamo come quel signore che sta fermo da non si sa quanto alla fermata dell’autobus, ma non ne prende mai uno. Lo guardi e ti chiedi: Ma quale autobus aspetta questo. Quello capisce cosa gli vuoi chiedere, è la stessa cosa che vorrebbero chiedergli tutti i passeggeri, e risponde: il prossimo.
Solo che il prossimo nessuno sa qual è.
Così noi con la classe politica. Finisce un mandato ed eccoci pronti alle nostre fermatine dell’autobus, pensilina, no, non c’è bisogno tanto è sempre maggio o giugno, e allora all’aria aperta, e siamo convinti che chi ci risolverà il problema saranno quelli che verranno DOPO.
“DOPO” è il termine che ci piace di più, a noi lucani.
“Rocchì, mi puoi prendere il sale? Ma ti serve subito? No? E allora che fretta c’è? Dopo.”
“Mi passi a prendere quando ho finito? Certo. Dopo.”
È la stessa cosa anche nei confronti di chi ci governerà. Aspettiamo quelli che verranno dopo. Sono loro, non quelli di PRIMA, che ci risolveranno tutti i problemi.
Poi passano gli anni, il primo anno, il secondo, il terzo: niente. Nemmeno questi ci hanno risolto il problema.
Allora cosa fa qualunque popolo sulla terra dopo che ha aspettato che arriva qualcuno tanto atteso, ma quell’attesa non ha sortito nessun effetto per l’ennesima volta? Cosa fa quel popolo? Beh come minimo quel popolo si incazza. A volte anche di brutto.
I lucani, no. I lucani sono delusi per definizione, al punto che ci hanno fatto il callo. E va bene così.
Sono la pasta che non scuoce mai, l’acqua che non viene mai a bollire, sono l’uovo che non diventa mai frittata, sono la pazienza che arriva a fine cavo e poi si riavvolge e ricomincia come se fosse la prima volta.
Ho visto lucani in punto di morte asserire con ferma convinzione: “Vabbè, tanto sarò vivo quel tanto che basta per vedere finalmente il miracolo”, e un attimo dopo esalare l’ultimo respiro. E scommetto che anche nell’aldilà qualche lucano ancora aspetta di tornare sulla terra per fare cosa? La rivoluzione? Manco per sogno: tornare per attendere ancora i prossimi, quelli giusti, stavolta.
Un altro miracolo, ecco quello che aspetta il lucano. Ma nessuno gli ha detto che mai nessuno ancora ha fatto il primo. Dietro questo equivoco si cela tutta la pazienza di questo popolo.
Così, quell’uomo alla fermata dell’autobus sta lì nessuno sa da quanto, aspettando l’autobus giusto, quello che non arriva mai. Ha visto passare davanti a sè generazioni di bambini diventati uomini, padri, nonni, poi passati a miglior vita sempre col sorriso sulle labbra, sempre aspettando qualcosa che non è arrivata mai.
Lui lì, impassibile, cavalca il tempo come un cavaliere lento, il viso pieno di rughe, occhi piccoli che non vedono quasi più, le ombre che gli passano davanti le percepisce, e ogni tanto risponde a caso: “Aspetto il prossimo, grazie.”
Se passate davanti a quella fermata, lo trovate ancora lì, che aspetta. Non ditegli nulla, sarà lui a dire a voi qualcosa. Poi passa l’autobus, voi ci salirete e lui no, e lo guarderete dal finestrino mentre vi allontanate dalla sua vita. E un po’ anche dalla vostra.
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