C’è un orticello pieno di colore in quel campo di nomi sconosciuti. Non proprio tutti sconosciuti, ne conosci giusto qualcuno. Per fortuna.
E questo orticello è pieno di girandole colorate e di pinguini di cartone per scacciare i piccioni e dà un colore nuovo in quelle costruzioni a piani alti.
È come una carezza delicata dentro un mare di cemento. Io lo vorrei conoscere l’architetto che ha progettato quelle casette a schiera per eterni vacanzieri. Ci vuole abilità, e anche un pò di fantasia, a immaginare la disposizione per gli strani condomini che affitteranno per sempre quelle piccole casette.
Sono sistemate ai piani bassi, raggiungibili da chiunque, o ai piani altissimi che per vederle ci vogliono gigantesche scale d’acciaio con le rotelle da una parte sola. Più facili da trasportare.
Qualcuno ci va tutti i giorni, qualcuno raramente, ma tutti quelli che entrano hanno la faccia silenziosa: non viene facile parlare quando intorno c’è silenzio e un sacco di volti che ti osservano. Sono quasi tutti sorridenti, un velo leggero di tristezza, alcuni.
E invece quel piccolo giardino parla, e ride, è impertinente e giocoso, non c’entra niente con tutto quello che c’è intorno, perché in un posto così è sempre autunno e invece quell’orticello sa di primavera. Per trovarlo devi fare tutta la discesa, la terza porta in fondo, l’ultima, un attimo dopo: il mondo, un attimo prima: l’eternità.
Persone vanno per salutare, per raccontare a delle fotografie come va la loro vita, ma lo sanno che non risponderà nessuno, eppure loro ci parlano lo stesso, qualcuno lo fa anche a voce alta. Gli raccontano di come vanno le cose da quando quelle persone sono diventate solo nomi ben scritti sul marmo, chissà se sarebbero contenti di sapere come procede.
Ma in realtà quelle persone vanno per fermare il mondo intorno e per parlare con sè stessi, e spesso succede che d’improvviso qualcosa dentro li scuote, perché in quel campo di nomi e di fotografie riescono a trovare risposte da quelle facce sorridenti.
C’è sempre un vento che fa curve strane seguendo la sagoma dei fabbricati. Da qualunque parte vai sei sempre controvento, come se fosse lui il vero custode che ti scompiglia fin da quando varchi la soglia del cancello.
Poi quando stanno per andar via a volte odono dei passi alle spalle come se ci fosse qualcuno, ma non è consuetudine girarsi, perché in fondo in un posto come quello non importa sapere chi sei, quello che ci sei andato a fare è fin troppo chiaro.
Tutto ciò che importa è che la strada per l’uscita corrisponde alla strada per la vita. Per fortuna, quella la puoi imboccare ancora e tornare a quel mondo pieno di rumori e di facce tristi e non più sorridenti. Un mondo senza nomi, nè fotografie.
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